“Tutto ciò che c’è nell’universo c’è anche dentro all’uomo;tutto ciò che nell’uomo non c’è, non c’è da nessuna parte” (dai Tantra)
“Tutta la scienza misurata contro la realtà è primitiva e infantile, ma in fin dei conti è tutto quello che abbiamo” (Albert Einstein)
Premessa : questi pochi casi, estratti da molti altri simili, in 45 anni di professione, sono riportati con la massima precisione possibile e soprattutto sono autentici. Però chi non credesse alle mie parole è opportuno non legga questa comunicazione sul blog. Nomi e luoghi sono stati alterati per impedirne il riconoscimento, salvo i due avvenimenti personali. Nell’articolo non ci sono interpretazioni ma fatti.
Caso primo:
Circa vent’anni fa avevo una giovane paziente (intorno ai 35) di una città vicina.Donna molto piacente, sposata con un uomo che non ho mai conosciuto, nonostante l’ importanza della situazione. La signora era stata operata diversi anni prima per un piccolo tumore al seno senza metastasi né altre complicazioni. Il rituale era sempre lo stesso: due volte all’anno veniva accuratamente controllata da un importante oncologo e poi veniva da me a completamento della sequenza. Le cose erano sempre assolutamente soddisfacenti in ambedue i casi. Era persona di poche parole e piuttosto riservata. Riferiva comunque un sogno ricorrente: “Ero andata dall’oncologo e salivo le scale dell’Istituto, mentre il medico le scendeva. Già a distanza questi scuoteva la testa come a dire che non c’era nulla da fare. Al momento dell’incontro l’oncologo diventava la morte (tabarro nero e falce) e mi abbracciava. Io non avevo nessuna paura”. Il sogno era, come ho detto, sempre uguale. Ogni volta le facevo notare che secondo me c’era un progetto di morte, a dispetto dei risultati che contavano meno, ma la risposta era soltanto un misterioso sorriso, o almeno questo sembrava a me.
Verso fine luglio la signora venne da me prima delle ferie, mie e dell’oncologo, dal quale era già stata, ed al solito tutto andava bene.
Al mio rientro in settembre, venni a sapere che il giorno di ferragosto era stata ricoverata con una recidiva estremamente aggressiva , per morire poi un mese dopo. Per maggiore garanzia comunque, mancavano le due persone che forse avrebbero potuto contraddire il tenace messaggio del sogno.
Caso secondo:
In quell’alba di domenica tornavo da Venezia. Erano all’incirca le quattro del mattino, estremamente stanco e insonnolito. Ogni tanto perdevo la concentrazione ma non volevo fermarmi. Prevedibilmente, ad un certo punto mi addormentai, cominciando a sognare. Sognavo che c’era un grande sipario nero e che la morte lo sollevava invitandomi a passare. Preso da un terrore indescrivibile mi svegliai immediatamente, appena in tempo per schivare il pilone di un ponte sull’autostrada, in una frazione di secondo. Credo di essere rimasto fermo in una piazzola per una buona mezz’ora: le luci in alto sul ponte ne proiettavano l’ ombra come un sipario nero sulle corsie di marcia. Dopo trent’anni, quando ripasso in quel luogo (all’incirca Boara Pisana) divento serio.
Caso terzo:
La vidi una mattina di ottobre allo studio. Giovane,24 anni, bella e di buon aspetto. Era stata operata l’anno prima per un adenocarcinoma al seno ed aveva metastasi al bacino. Le lastre mostravano con evidenza parecchie zone scure come monete da cento lire, non lasciando dubbi sulla loro natura. Il suo problema era che la compagnia aerea poneva delle difficoltà all’ imbarco, nel timore di qualche frattura, responsabile soprattutto l’atterraggio o altre evenienze, poiché la ragazza voleva andare in India da (omissis) per guarire. E di ciò era convinta. Prescritta, senza troppo ottimismo una terapia per le difese immunitarie, le augurai una buona riuscita, congedandola. Il viaggio evidentemente lo ottenne e andò bene. La rividi infatti quattro mesi dopo in forma smagliante, e felice. Le radiografie di controllo, dopo il suo rientro a Milano, erano perfette.
Dire che stentavo a credere all’evidenza è poco. Infatti riuscii a mettermi in contatto con il radiologo che aveva fatto i primi accertamenti e l’ultimo controllo. Mi disse testualmente.”Se non l’avessi fatte io direi che si tratta di un’altra persona.” Ho rivisto la paziente un’altra volta in perfetta salute, e poi l’ho persa di vista.
Caso quarto:
Erano i due figli dell’ammalato, che aveva un adenocarcinoma del polmone, da biopsia.Il tumore, come ebbi da constatare dalle radiografie, era grande come un’arancia e situato in alto e al centro, all’altezza dello sterno. Chiesi loro cosa mai potevo fare: il paziente era obeso e ottantenne, e i sanitari avevano optato per lasciarlo in pace, prescrivendo soltanto un controllo radiografico a distanza di un mese. I due figli desideravano esclusivamente un aiuto perché morisse il meglio possibile, rendendosi conto che chiedere di più sarebbe stato assurdo. Qualche giorno dopo venne il vecchio contadino ammalato, ma di umore fiducioso, non conoscendo la natura dei suoi disturbi. Gli dissi che se non voleva morire doveva ubbidirmi circa la terapia (omissis), e lui mi chiese però di non toglierli il fumo (due pacchetti al giorno). E tale fu l’accordo. Dopo un mese, al controllo radiologico la massa non era cresciuta, dopo due mesi si vedevano delle calcificazioni e, per farla breve, dopo sei mesi l’adenocarcinoma era diventato una palla di gesso. Il mio simpatico paziente non ha mai saputo del tumore ed è morto in occasione di un brutta influenza cinque anni dopo, a ottantacinque anni.
Caso quinto:
Forse marito e moglie da qualche parte ci sono,e magari (ma soltanto loro) potrebbero riconoscersi. Venivano da me due volte all’anno per accertamenti da una città del nord. Ambedue avevano l’amante, e tutto sembrava procedere senza intoppi da tempo. Ma un giorno la “seconda moglie” di lui, probabilmente più garantista, propone il divorzio dei coniugi, con una certa logica. Detto fatto, con buon accordo, ognuno per la sua strada. Ma tre mesi dopo alla signora viene diagnosticato un tumore maligno al seno, al di là di ogni dubbio. Poiché è fine luglio, l’oncologo rimanda l’intervento a settembre. Nel frattempo il marito, oppresso dai sensi di colpa, e data la situazione tossica, lascia l’amante e torna a casa dalla moglie. Viene settembre e la signora torna dall’oncologo, che chiede di rivedere gli accertamenti prima di operare. Ma del tumore nemmeno l’ombra. Né si è più ripresentato.
Caso sesto:
Era il 1972, 18 marzo. Come medico di condotta quel giorno ero purtroppo di turno poiché c’era l’influenza, di cui ora mi sfugge il nome. Per certo, dalle sei di mattina sino circa alle 23 avevo fatto una ottantina di visite domiciliari, e ricordo che più volte il vigile del paese, quando arrivavo, ed il semaforo era rosso, mi dava via libera, fermando gli altri. Avevo la febbre anch’io. Mi svegliai alle cinque del mattino dopo con un dolore tremendo al petto, come avessi un pugnale nel cuore. Non potevo muovermi, e respirare era insopportabile, a tal punto che pensai che stavo morendo. Testardamente ( il dolore si era attenuato), aspettai da lunedì a venerdì prima di andare all’ospedale per un elettrocardiogramma: diagnosi necrosi endoepicardica (ho ancora il referto), e quella sera mi ricoverai al Policlinico. Solo al terzo ECG la diagnosi cambiò da infarto in pericardite, e mi feci un mese di ricovero. Da allora però iniziarono dei dolori anginosi sempre più frequenti, da sforzo. Restio a cure tradizionali nell’1986, quattordici anni dopo, ero però arrivato ad un limite molto pericoloso: poiché andavo tutti i giovedì a Napoli per la mia analisi, mi bastava fare gli scalini che dal sottopassaggio portano ai binari alla stazione di Bologna per avere un attacco coronarico.
Decisi per un consulto presso un luminare di Napoli: dopo molti anni ebbi il mio ECG con prova da sforzo, che ebbe termine venti secondi dopo per un attacco. Rifiutai la coronarografia ed il logico by-pass che ne sarebbe seguito (non consiglio nessuno di fare altrettanto). Al che il professore, con logica impeccabile, mi profetizzò sventure in tempi brevi. Il giovedì dopo portai in analisi un sogno della notte, ed è inutile dire che stavo come e peggio di prima. Nel sogno correvo con dei gran salti sulla sabbia di un isola tropicale, dove non ero mai stato, ma contavo di andarci. Correndo non avevo alcun dolore e mi dicevo: “ Hai visto? Tu stai bene”. Con il mio analista convenimmo che, anche se in maniera estremamente improbabile, il sogno rappresentava un dato di fatto reale di cui dovevo tenere conto. Si ripetè altre due volte, identico al primo. Venne agosto e il tempo delle ferie. Scelsi le isole Cook, e l’ultimo attacco anginoso mi venne sorvolando le Hawai, senza sforzo alcuno. Accantonai la cosa come ineluttabile. Giunto ad Avarua mi sistemai fra palme e mare. Purtroppo pioveva e la cosa durò dodici giorni, cosa rarissima. Il dodicesimo giorno ero fra l’acqua e la sabbia a parlare con l’ambasciatore ungherese. Non pioveva più e grandi nuvole nere andavano verso il sole nel tramonto. Poiché era troppo tempo che aspettavo di fare un bagno andai per una breve nuotata. Ma uscito dall’acqua c’era un’arietta fredda, per cui istintivamente mi misi a correre. A parte lo scenario di palme da cartolina, a un certo punto mi accorsi che non avevo alcun dolore al petto e che il tutto era tale e quale ai sogni. Corsi fino a che mi ressero gambe. Da quel giorno non ho più avuto alcun disturbo. E’ passato un quarto di secolo ed anche il mio ultimo ECG non ha mostrato segni di sofferenza coronarica, anche se nel frattempo ho avuto parecchie ragioni per morire di infarto. Sarà per un’altra volta.
“Dal momento che ogni cosa è soltanto apparenza
ed è perfetta in ciò che è
e non ha niente a che vedere
né col bene ,né col male
né col fatto che tu l’accetti o la rifiuti
allora si può ben ridere di tutto questo”
( Maestro tibetano)
Caro Glauco con immenso piacere leggo le tue idee, rivivo questi racconti….i corsi alla SIRTO e le visite al tuo studio. Finalmente hai trovato il tempo di scrivere queste perle. Con affetto Stefania